Eva Giovannini

È nata a Livorno nel 1980, l’anno in cui Piersanti Mattarella fu ucciso dalla mafia, Vittorio Bachelet dalle Brigate Rosse, e decine di altri innocenti nelle stragi di Ustica e Bologna. L’anno in cui sono nati Pacman e Canale5, ma in cui, soprattutto, è venuta al mondo una generazione che – dice l’INPS – se avrà fortuna andrà in pensione a 75 anni. Così, visto che dovrà lavorare ancora a lungo, ha scelto un mestiere che non la faccia annoiare mai: la giornalista. Fino ad oggi ha lavorato come inviata per Skytg24, Annozero (Raidue), Piazzapulita (La7) e Ballarò (Raitre). Lo scorso anno ha scritto un libro per Marsilio sulle destre nazionaliste europee: “Europa Anno Zero”.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando adesso?

In questo periodo sto leggendo e valutando gli scritti finali di un corso di giornalismo tenuto dentro un carcere di media sicurezza. È stato molto istruttivo contribuire, insieme ad altri docenti, ad un percorso dedicato all’informazione per ragazzi che hanno perso (temporaneamente) la propria libertà; raccontare loro che la libertà individuale è parte di quella collettiva, e che una informazione libera è una premessa democratica irrinunciabile. Leggere i loro elaborati – racconti di vita, di cadute, di errori, di sliding doors – è un esercizio molto formativo anche per me. In diversi casi, anche particolarmente emozionante.

 

L'esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?

La cosa più interessante che ho fatto nella mia vita recente è stata la scrittura del libro ”Europa Anno Zero. Il ritorno dei nazionalismi”. Anzitutto perché dopo anni di televisione, la scrittura mi ha riconciliato con le sfumature, con il racconto di quella complessità che spesso in tv, per ragioni di tempo, viene meno. E poi perché mi ha consentito di girare in lungo e in largo prima l’Europa – per raccontarla, nelle sue contraddizioni e nelle sue paure – e poi l’Italia, per portare i contenuti del libro nelle realtà più diverse, dalle grandi città ai festival più sperduti. Ma soprattuto mi ha riempito di motivazione andare a parlare di Europa nelle scuole superiori e nelle università: i “nativi europei” sono i soli che potranno, se informati a dovere, salvare il nostro fragile continente.

 

Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?

Una lezione che ho imparato? Che tutti, prima o poi, possiamo diventare minoranza. A volte, quando parlo di Europa e immigrazione nelle scuole, porto con me Mohammed, un ragazzo afgano di 22 anni che ha vissuto tutta la via crucis del “profugo”, compreso l’aver trascorso 48 ore rannicchiato in una scatola di cartone a bordo di una nave senza mangiare, bere, e respirando solo da un piccolo foro. Imparare a mettersi nei panni degli altri e sapere che se il mondo gira dalla parte sbagliata ognuno di noi può diventare Mohamed, non è solo un esercizio di stile, ma una prerogativa fondamentale del diventare cittadini consapevoli. Lo stesso vale per tutte le categorie considerate “minoranze” – e per questo da sempre criminalizzate – come i Rom, gli omosessuali, i portatori di handicap. Mai sentirsi sollevati, distanti, tantomeno assolti: siamo sempre, tutti, “coinvolti”.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Iniziare a bere vino rosso. Frequentare un corso di calligrafie antiche. Visitare la Corea del Nord.
Pur vivendo a Roma, trovare un modo per impegnarmi concretamente per la città dove sono nata e cresciuta, Livorno.

 

Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?

Pietro Bartolo. Professione medico. Nel suo ambulatorio a Lampedusa sono stati accolti e curati in 25 anni più di 250.000 profughi. Lo chiamano il “medico della speranza”: ha fatto nascere bambini da madri in fin di vita, ha strappato alla morte corpi disidratati, in ipotermia, sotto shock. Nei panni di se stesso, ha partecipato al documentario di Francesco Rosi “Fuocoammare” c'è ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino. Se non siete mai stati a Lampedusa, prendete un aereo e andate a conoscerlo. Vederlo operare dal vivo, ogni storia come fosse la prima, è un’esperienza indelebile.

14 maggio 2016