Paolo Venturi

(1971 Forlì) Da quindici anni è il direttore di AICCON, Centro studi su Economia sociale e Cooperazione – promosso da Università di Bologna e movimento cooperativo – e direttore di The Fund Raising School, prima scuola italiana sulla raccolta fondi. Collabora con start-up come Social Seed e Maam, e con le regioni Emilia Romagna e Toscana. Scrive su blog e su carta stampata (Nòva de IlSole24ore, Vita Non Profit), ha pubblicato articoli e saggi su innovazione sociale, impatto e cooperazione, e ha curato con Flaviano Zandonai le ultime due edizioni del «Rapporto sull’Impresa Sociale in Italia». È convinto che l’innovazione sociale passi dall’ibridazione, e che il valore in futuro sarà sempre meno il frutto di processi verticali (la Pubblica Amministrazione che produce beni pubblici, le imprese che producono beni e servizi, le non profit beni relazionali), quanto l’esito di un’alchimia fra dimensione sociale, economica e istituzionale. Sposato con Maria, papà di Carlotta e Maddalena, si ricarica organizzando grigliate in riviera romagnola e cenando in spiaggia con i piedi infilati nella sabbia.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando adesso?

Sono dentro diversi progetti complessi ma proprio per questo affascinanti. Uno ruota attorno all’open innovation. Si chiama Coop Up In, lo stiamo realizzando con Ireecoop Emilia Romagna, e punta a generare occasioni di contaminazione e scambio tra start-up cooperative e cooperative già affermate: una cosa più articolata che non fare accordi tra due imprese. Perché lo scopo non è (solo) far crescere qualche nuova piantina in vasi da balcone, ma immaginare una nuova foresta. Per farlo stiamo puntando sui “community hub” che sono nati in Emilia Romagna negli ultimi anni sulla spinta dell’innovazione sociale, e che servono per socializzare le risorse e i talenti disponibili. Un secondo progetto riguarda invece la nuova legge sull’impresa sociale a cui sto lavorando come componente di un gruppo tecnico istituito al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’imprenditorialità sociale non è solo uno strumento della Pubblica Amministrazione per erogare servizi sociali. Può essere una leva straordinaria per produrre nuovo valore e dilatare il mercato. È questa la scommessa che va vinta , anche puntando sul fatto che i giovani esprimono una domanda d’innovazione che sempre di più contiene forti motivazioni sociali. È per questo che è emozionante partecipare a questo processo ministeriale e che spero si riesca ad arrivare a questa nuova legge: darebbe ali all’innovazione sociale, spesso sacrificata rispetto a quella tecnologica.

 

L’esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?

Scoprire lo sviluppo, dentro le aree in cui si era spento. Da ricercatore e appassionato di economia sociale è stato per me una sorta di nuovo inizio. Tutto è nato dall’invito di un amico, Giovanni Teneggi, a partecipare ad un progetto sulle Cooperative di Comunità nell’Appennino reggiano: cooperative che nascono in aree abbandonate del Paese e che risorgono attraverso l’impegno di coloro che ancora le abitano. In queste terre “lontane” l’innovazione è – anzitutto – una forma di sopravvivenza, perché parliamo di comunità che per superare lo shock dell’abbandono o del dissesto rigenerano attività economiche attraverso nuove economie relazionali: consapevoli che non si tratta di atti di eroismo, ma di prototipi di sviluppo evoluto. Le aree interne sono circa il 60% del nostro territorio e la marginalità di questi territori, e delle periferie in generale – a dispetto di ciò che è successo per decenni e anche di quello che sarebbe intuitivo pensare – sta diventando uno stupefacente terreno fertile per nuove sperimentazioni basate anzitutto sul capitale umano. Questa esperienza nell’Appennino reggiano l’ho trasformata così in un terreno di studio: ho visto quanto sarà indispensabile, per i prossimi anni, attivare sempre più percorsi di sviluppo endogeno, e quindi legati ai luoghi e alle storie delle persone che ci vivono.

 

Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?

La prima è che non è il ragionamento, ma l’osservazione, a costituire la parte più avanzata della ricerca. Il ragionamento viene dopo. E solo se uno ha chiaro che ci sono il desiderio e la curiosità all’inizio della scoperta. Se invece parti da un ragionamento è molto probabile che non succeda nulla; perché ciò che davvero ti fa muovere è un dato della realtà. Un dato specifico che ti colpisce. Ho sempre constatato che le persone  più ricche di “sapienza” che ho incontrato, e che quotidianamente incontro, sono anche quelle più attente a ciò che accade intorno.
Anche se chiaramente questo, da solo, non basta: l’osservazione e la pratica, se non sono inserite dentro un pensiero più profondo e un metodo, diventano “praticoneria”. Per questo non si deve mai smettere di studiare. Coltivare l’osservazione e garantire questo investimento su di sé sono due cose ugualmente fondamentali, ed è per questo che sono utili tanto il lavoro personale quanto i “beni relazionali” scambiati con i colleghi, gli amici, gli affetti.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Mi attrae l’idea di fare un’esperienza all’estero con tutta la famiglia per un tempo significativo. Le mie figlie sono ancora piccole ma già molte delle nostre conversazioni sono sulle loro future esperienze fuori dall’Italia. Ultimamente ci vediamo poco e questo ha amplificato in me il desiderio di stare con loro. Due persone diverse, e con preferenze opposte, che ti costringono a non dare mai nulla per scontato. Vorrei programmare una sorta di anno sabbatico in cui dividere le mie giornate, in terra straniera, fra un percorso formativo di alto livello e la vita familiare.

 

Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?

Fra gli imprenditori sociali e i giovani che conosco le storie straordinarie da raccontare sarebbero veramente tante. Mi vengono alla mente persone normali che fanno cose eccezionali: vale a dire, persone capaci di generare trasformazioni sociali nelle comunità in cui operano. Come Vincenzo Linarello che, nella Locride, ha creato un gruppo di cooperative sociali eroiche che rappresentano un vero caposaldo di legalità e innovazione. Vincenzo ha creato un incubatore e Cangiari, un marchio di alta moda etica artigianale presente in molte boutique internazionali. Oppure Pino Bruno che a Matera ha creato il brand Panecotto per promuovere la vendita di prodotti tipici, realizzati attraverso l’inserimento di persone svantaggiate: è straordinario che, in seguito ad un’azione commerciale fatta all’estero, gli Emiri si siano detti molto interessati: l’idea che per ogni “peperone di Matera” mangiato dall’emiro si generino ore di assistenza domiciliare per non autosufficienti in Basilicata è un nuovo modo di costruire “economie circolari” a livello globale. Poi c’è Nicola Crispino, un artigiano di lungo corso che fa il restauratore e ha 8 figli. Con lui ho condiviso un percorso appassionante che ha generato una mostra con le sue opere: lui raccoglie i pezzi di “materia” che – ad uno sguardo superficiale – sembrerebbero scarto, e li rende pezzi unici che raccontano storie incredibili.

23 luglio 2016