Davide Canavesio

(Torino 1971) Dieci anni fa è rientrato in Italia per seguire la Saet, azienda fondata dal padre quarant’anni prima e specializzata in trattamenti ad induzione, con un piano di crescita basato su internazionalizzazione e investimenti in innovazione. Attraverso operazioni in India, Cina e Stati Uniti, la Saet è cresciuta negli anni fino all’accordo nel 2014 con la statunitense ParkOhio, quotata al Nasdaq di New York. È stato presidente dei giovani imprenditori di Confindustria di Torino dal 2010 al 2013, ha guidato la Commissione Sviluppo economico locale di «Torino Strategica» che ha prodotto il piano per Torino Metropoli fino al 2025, ed è amministratore delegato di due società partecipate torinesi (TNE ed Environment Park). Da quest’anno insegnerà Corporate Finance all’Università di Torino. Maratoneta, pellegrino, sogna di fare il libraio.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando adesso?

Dopo la vendita di Saet, ho deciso di regalarmi un anno sabbatico per avere tempo di leggere, osservare, pensare. Sono stato molto impegnato con TNE ed EnviPark, ma ho assaporato anche cosa significhi avere ore in apparenza più lente e paradossalmente, proprio per questo, più intense. È stato un anno in cui ho vissuto in diretta il cambiamento della mia Torino. Imparando che siamo sempre tutti in tempo per essere presi in contropiede. Da qualche mese sto anche ragionando su come costruire una nuova azienda altamente tecnologica che possa competere a livello globale. Tutti pensano che ci sia spazio solo per gli inventori del virtuale, di giochi online e app per cellulari. Ma la trasformazione del reale, di quelle macchine che un tempo si facevano in fabbriche dove migliaia di operai avvitavano bulloni, è anche più straordinaria. E più inesplorata – e questo curiosamente, visto che siamo il Paese dell’industria manifatturiera. Ciò che mi emoziona di un progetto così è che sta riuscendo a catalizzare le energie di tante persone molto in gamba che si gettano anima e corpo per dare vita a qualcosa che ancora non esiste e che sei tu, con loro, ad immaginare. Ho inoltre la fortuna di essere circondato da un gruppo di 150 persone a basso tasso di sanità mentale, con cui abbiamo fondato Nexto, e con le quali vogliamo rendere Torino una città delle opportunità. Sfidando ogni «idea riciclata» che gira in città – non importa che venga dalle imprese, dalle fondazioni o dalle istituzioni locali. Prenderla e sfidarla pubblicamente; contraddirla, contestarla, e poi però proporre un’alternativa: è per noi di Nexto una boccata d’ossigeno costante e il modo con cui pensiamo di allontanare il rischio che la città muoia di asfissia.

 

L’esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?

Il cammino di Santiago. Non è un’esperienza religiosa, ma un’esperienza di vita. Qualcosa di spirituale anche per chi non crede. È difficile spiegarlo a chi non lo ha mai fatto. È un po’ come con la maratona. Si dice che non ti prepari mai del tutto per correrla. Perché quando ti alleni non percorri mai tutta la distanza. Fai sempre 15 o 20 chilometri. Magari una volta arrivi a 30. Ma è solo quando partecipi ad una maratona vera che scopri cosa vuol dire davvero arrivare oltre 40 chilometri. Non ti ci portano le gambe, ti ci porta la testa. È quella che deve reggere. Se uno non ha mai fatto uno sport, non saprà mai cosa vuol dire superare i propri limiti. Ecco: se uno non ha mai fatto il cammino di Santiago – o un altro cammino – non saprà mai cosa vuol dire essere pellegrino.

 

Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?

Da giovane sono stato presidente di AIESEC Torino, l’antenna locale di una bella associazione di studenti. Avevo vent’anni e mi sentivo importante ad essere chiamato «presidente»; potevo parlare col preside di facoltà, con le aziende, con tutti quelli che giravano intorno all’associazione. Mi sentivo importante e – come si dice a quell’età – “me la tiravo” pure. Un anno dopo, appena finito il mio mandato, ho scoperto in fretta che nessuno di quei contatti che avevo prima, e che mi rispondevano sempre, adesso mi calcolava più. Ricordo che la cosa all’inizio mi mise addosso parecchia tristezza, e un sottile senso di smarrimento. Ma poi ho capito che nella vita troppe persone ti misurano solo per il ruolo che hai o per quello che puoi offrire loro. Quindi, meglio usare il setaccio da subito e distinguere i rapporti veri da quelli di convenienza. E soprattutto, meglio pesarsi solo per ciò che uno è dentro, e non per il vestito che indossa, perché le stagioni cambiano. È stata la mia fortuna capire tutto questo in fretta, venticinque anni fa.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Gli Stati Uniti coast to coast. L’inventario dei miei libri. Il libraio. E poi ho un sogno nel cassetto: essere un giudice di X Factor! Se poi la domanda non riguarda solo me, allora ti direi «aggiustare una cosa che si è rotta». E qui mi vengono in mente solamente cose enormi. Tipo la coesione sociale, o l’Europa. Non te lo so dire cosa potrebbe voler dire lavorare per ricostruire la coesione sociale, o l’Europa. Ma è troppo importante perché non provi anche io a fare la mia parte. Diciamo così: non te lo so dire ancora. Ma presto dovremo pur inventarci qualcosa, non trovi?

 

Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?

Ho avuto modo, negli ultimi anni, di conoscere bene Valentino Castellani, l’ex sindaco di Torino. Non mi interessa tanto la sua figura pubblica o il ruolo storico che ha avuto nella fase di rilancio della città. Mi interessa molto di più la persona che è adesso: sempre combattiva e competente, ma soprattutto umile e generosa. Valentino è uno di quelli che spalanca davvero le porte ai giovani. E poi, come fai a non fidarti di uno che a 76 anni continua a parlarti soltanto di futuro?

6 agosto 2016