Stela Xhunga

(Durazzo, 1987) Cerca di vivere facendo la cosa che le dà gioia e le riesce meglio, scrivere. Scrive per quotidiani, riviste e la Radio Televisione Svizzera, fa la copywriter per progetti in cui crede e fa la ghostwriter per persone che la incuriosiscono. Da quando è partita da Tirana ed è atterrata a Fiumicino il 13 marzo del 1990 ha imparato in fretta a voltarsi sia a Stela che a Stella.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando?

Sto scrivendo l'autobiografia di un ottantaseienne di cui per contratto non posso rivelare il nome. Un uomo dolcissimo, le gambe ricurve dagli anni formano un cerchio e quando si muove sembra un compasso. Ha imparato a salutarmi in albanese, Përshëndetje!, lo dice con l'orgoglio di chi ha imparato una cosa nuova e la galanteria di chi è di altri tempi. Raccogliere la sua vita in un libro mentre là fuori c'è la morte mi emoziona.

 

Una cosa che il Covid-19 ti ha tolto, ed una che invece ti ha dato?

Mi ha tolto la possibilità di raggiungere mio padre, proteggerlo, fare qualcosa per lui, ma mi ha dato l'amore. E temo qualche chilo di troppo.

 

Il pensiero laterale più ricorrente di queste settimane?

Prima della pandemia, si diceva sempre L'Europa è morta a Kos, l'Europa è morta a Lesbo, a ogni tragedia e fatto di cronaca legato ai migranti, si diceva l'Europa è morta in x posto. Non era vero. L'Europa non è mai morta. Nemmeno durante il gioco di guardie e ladri che da anni si consuma nei Balcani dove la polizia di frontiera dà la caccia ai migranti, li pesta a sangue e li lascia sulle rotaie perché di loro non rimanga letteralmente traccia, se non quella della tragica fatalità di un treno. The game, lo chiamano i reporter, pestati anche loro. Nemmeno durante questi giochi l'Europa è morta. Finché ci saranno persone che cercano una vita migliore qui, significa che questa vecchia Europa ha l'artrosi, puzza di umori, ma non è morta. Al punto che migliaia di persone sono disposte a perdere la vita pur di venirci. L'Europa è viva, e quei migranti che non accoglie sono lì, ogni giorno, a ricordarglielo. Come pure quegli anziani che piangono perché hanno paura di morire e soffrono la solitudine di una corsia d'ospedale, pure loro sono lì a ricordarglielo. Solo questo vorrei, che l'Europa si ricordasse che è viva, che traesse coraggio anche da chi finora ha allontanato, e che lo facesse proprio ora che è attanagliata dalla morte non più , in x posto, ma ovunque. Siamo vivi, adesso, domani avremo un giorno in meno a disposizione. Ricordiamoci della lotta. Può suonare retorico, ma non lo è.

 

Una lezione imparata anni fa e che racconteresti ad una platea di studenti?

Lo smantellamento del binarismo di genere lo dobbiamo anche alla queer theory e bisogna fare tesoro delle riflessioni queer. Perché il femminismo non si riduca a un white privilege, e perché l'emancipazione delle donne del nord del mondo non avvenga a spese di quelle del sud e dell'est del mondo, non si può però perdere di vista la questione del corpo femminile. Un milione di vittime, due milioni di persone in fuga, più di mezzo milione di donne violentate: nel 1994, in soli cento giorni, in Ruanda, durante il genocidio dei Tutsi e degli Hutu moderati, è successo questo. Lavorando con Action Aid ho avuto modo di conoscere qualche storia anni fa. Terribile. Dopo la guerra ci fu un boom demografico, dovuto ai bambini concepiti tramite lo stupro. Lontano dal nostro mondo dorato lo stupro è ancora oggi un'arma da guerra, una pratica di sopraffazione sociale e domestica. E al suo opposto, il controllo delle nascite, che passa attraverso il corpo femminile, è l'arma sistematica di molti paesi, incluso quello che ci fabbrica i cellulari che usiamo per firmare le nostre belle petizioni su Charge.org, nei confronti delle minoranze. Nel 70% dei casi è sul corpo femminile che il traffico di esseri umani trae profitto ovunque nel mondo. L'elenco è troppo lungo, inutile continuare. Chiaro che la lotta contro le discriminazioni, quali che siano, incluse quelle di genere, è universale, e che ogni diritto guadagnato dal singolo, ogni tutela legale del singolo, è una vittoria anche per la collettività. Ma vi prego, non cadiamo nell'errore di credere che il corpo femminile, nella sua accezione biologica, nella sua vulnerabilità biologica, nella sua capacità di procreazione, sia un concetto superato, una battaglia démodée per femministe bostoniane anni '70. Non fatelo per quelle donne che oggi, non ieri, adesso, in questo momento, mentre discutiamo, non capiscono la frase "è una questione di civiltà", non gliene frega niente se Achille Lauro mette lo smalto sulle unghie, gliene frega di arrivare a sera senza che qualcuno attenti al loro corpo.

 

L'ultima volta che hai riso o sorriso?

Oggi sul tram c'era una signora bassissima, muoveva i piedi a penzoloni che non toccavano a terra. Ho riso di tenerezza.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Pulire il pesce, volare in parapendio, accettare che mia madre invecchi e imparare il tedesco. Sai che meraviglia leggere Walter Benjamin in tedesco?

foto STELA

La foto scelta da Stela: ghetto dei braccianti nei capanni dell'ex Felandina, nel Metaponto, a 30 km da Matera, Capitale europea della Cultura nel 2019, quando è stata scattata la foto.