Andrea Pastorelli

(Como, 1981) È il direttore di Teach for Italy, organizzazione non governativa parte di Teach For All, presente in 60 Paesi, che si occupa di contrasto alle diseguaglianze educative. Cresciuto in Toscana, ha passato sedici anni della sua vita fuori dall'Italia. Prima a Londra, dove si è trasferito per studiare Scienze della Comunicazione e Cooperazione e Sviluppo Sostenibile al King's College, poi in Africa, infine al centro di Manhattan, dove ha lavorato per l'ex presidente Bill Clinton, sostenendo la William J. Clinton Foundation nell'apertura dei suoi primi programmi di salute pubblica in Africa. Ha trascorso anni in giro per il mondo con le Nazioni Unite, dove ha sempre lavorato nel campo della salute pubblica, dei diritti umani e nella lotta alle discriminazioni, facendosi le ossa nel contrasto alla penultima pandemia globale, quella dell'AIDS, preoccupandosi del vaccino sociale e legale alle troppe violazioni dei diritti di chi convive con il virus e chi dal virus viene più colpito. Le vittorie del movimento internazionale sull'AIDS gli hanno insegnato metodi e priorità che ha deciso di portare sui temi delle diseguaglianze sociali ed economiche. Per questo, tornato in Italia, prima di approdare a Teach for Italy, è stato dato in prestito dall'ONU al Viminale, per lavorare sul Piano Nazionale Integrazione per i rifugiati.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando?

Da più di due anni lavoro ad un sogno che si chiama "Teach For Italy". L'idea è semplice: portare giovani italiani particolarmente promettenti a scegliere la scuola pubblica, convincendoli a insegnare per almeno due anni nelle scuole più svantaggiate del Paese. Li selezioniamo, li formiamo e li seguiamo per due anni, affinché crescano a livello personale e professionale e diventino dei veri e propri enzimi di cambiamento all'interno dell'ecosistema educativo Italiano, per rinnovarlo profondamente con un'unica bussola di riferimento: il contrasto alle diseguaglianze educative. Nel farlo, stiamo portando in Italia, con più di vent'anni di ritardo, il modello internazionale di Teach For All, che in altri Paesi – dall'India alla Spagna, dal Cile alla Gran Bretagna – ha letteralmente trasformato interi distretti scolastici, cambiando la vita a centinaia di migliaia di bambine e bambini. È stato, e continua ad essere, un viaggio entusiasmante, ma anche particolarmente difficile. Dopo un anno di lavoro dietro le quinte, abbiamo lanciato l'organizzazione in Italia a fine 2019 ed iniziato le prime attività nel 2020: nell'anno più duro di sempre per iniziare una no profit nel campo educativo, ma anche nel momento in cui il sistema educativo aveva più bisogno di ripensarsi e di assorbire nuove energie. Siamo comunque riusciti a partire, selezionando 15 giovani con bellissime storie e motivatissimi che al momento insegnano in scuole di ogni ordine e grado in Piemonte, Toscana e Lazio, e stanno già avendo impatto sulle loro realtà. Abbiamo appena iniziato il reclutamento per il secondo gruppo di fellows per il 2021, un momento sempre emozionante perché vieni travolto da nuove energie e puoi toccare con mano la voglia di cambiare le cose che moltissimi giovani hanno in tutto il Paese. Tutto questo è solo l'inizio, il nostro obiettivo nei prossimi 15 anni è avere un impatto su tutto l'ecosistema educativo italiano, per rigenerare il Paese dalle radici.

 

Una cosa che il Covid-19 ti ha tolto, ed una che invece ti ha dato?

Come a molte altre persone, il COVID ha tolto anche a me la possibilità di essere me stesso in tantissimi aspetti. Sono un iperattivo, sempre molto socievole, e la mia personalità, come pure la mia produttività, sono parecchio legate al viaggiare, alla possibilità di incontrare nuove persone, socializzare, costruire costantemente nuovi rapporti personali e professionali. Tutto questo si è dovuto fermare di colpo e ho dovuto reinventare molto del mio modo di stare al mondo, a livello sia personale sia professionale. Pensa che fino ad oggi non ho neanche potuto incontrare di persona tutto il team di Teach For Italy! Lavoriamo da remoto, e siamo ormai tutti coinquilini su Zoom. Allo stesso tempo, però, il COVID mi ha dato una grande opportunità di capire cosa conti veramente. Sul lavoro, ho capito che si può essere molto efficaci (in molti casi perfino più efficaci) anche in altri modi. Spero che finalmente tutti capiscano che dobbiamo abbandonare la cultura del cartellino e che non possiamo continuare a monitorare la produttività del lavoro come nel Novecento. Sul personale, mi è servito per rallentare un po', ascoltando forse di più la mia salute e la mia emotività, e quella di chi mi sta intorno, dai miei colleghi ai familiari. In momenti difficili capisci quali sono le priorità. Ho vissuto l'impatto del COVID da vicino all'inizio della pandemia, con mio marito che ha contratto il virus a marzo, costringendoci ad una dura quarantena di quasi due mesi che ci ha molto provato, ma ne sono uscito con la grinta di andare avanti, fare progetti e cercare di tenere lo sguardo fisso sul futuro.

 

Il pensiero laterale più ricorrente di queste settimane?

Guardando all'instabilità politica e ai molti cambiamenti delle ultime settimane in Italia e all'estero, continuo a non capire un meccanismo che va avanti da decenni. Tutti considerano l'istruzione dei propri figli una priorità assoluta personale e familiare. Farebbero carte false per garantire loro un'istruzione di qualità. È il primo argomento che senti in famiglia, da amici, nella vita quotidiana. Eppure troppo pochi, quando votano, lo fanno pensando alla scuola. È come se la scuola fosse una realtà parallela, che non viene considerata una responsabilità della politica o dello Stato con la S maiuscola... cioè noi. Ci penso spesso, e spero che le tante polemiche e la grande attenzione che la scuola ha avuto negli ultimi mesi, a causa dell'emergenza, possano cambiare questa dinamica. Dobbiamo lavorare tutti ad una rete trasversale di persone ed organizzazioni che vogliono un'altra scuola, che parta dagli studenti non solo a parole, e che spinga le forze politiche italiane a dare priorità all'istruzione. Ogni cambiamento produce anche tanti scontenti, la scuola non fa eccezione, tutt'altro. Ma lo status quo non è più accettabile. Dobbiamo cambiarla avendo un'unica priorità: la qualità della formazione e della crescita che dobbiamo assicurare ai più giovani. Il Piano Next Generation EU è una grande opportunità per incanalare questo tipo di energie. Spero si riuscirà a farlo.

 

Una lezione imparata anni fa e che racconteresti ad una platea di studenti?

Racconterei di quando ho capito che non volevo, e non potevo, più scappare dall'Italia. Come troppi altri italiani, anch'io ho lasciato l'Italia dopo il liceo. L'ho fatto perché il mio Paese mi stava stretto, non accettavo troppe cose e lui non accettava troppe cose di me, non mi sentivo accolto. Ho lasciato l'Italia con una voglia di riscatto che mi ha portato a fare esperienze bellissime in tanti Paesi, dagli Stati Uniti alla Cina. Per anni mi sono illuso di stare meglio fuori. Ma quanto è bello essere un italiano in America, o un italiano in Cina! Sei amato e apprezzato come lo è il nostro Paese. Capisci quanta stima e rispetto esista per le nostre competenze, per il nostro modo di essere e porci nei confronti degli altri. Decisamente meno facile, purtroppo, è essere un italiano in Italia. Non sei più così esotico! Eppure, tutte quelle esperienze e quella crescita personale hanno avuto un vero senso per me solo una volta rientrato in Italia, quando ho potuto mettere a disposizione le mie competenze e il percorso fatto fino a quel momento per cercare di migliorare le cose qui. Il messaggio è chiaro: viaggiate, fate esperienze, non accontentatevi mai. Ma fatelo con un progetto che vi porti a tornare, perché qui in Italia c'è ancora un sacco di lavoro da fare, e non potremo farlo senza anche uno solo di voi.

 

L'ultima volta che hai riso?

Ieri sera giocando con le mie nipotine che vivono ad Halifax, in Canada. Non le vedo da un anno e mezzo e mi mancano tantissimo. La più grande, di quasi 4 anni, mi ha chiesto di leggerle un libro in italiano, che le avevo regalato per Natale, tramite Facetime. Era molto confusa, ma curiosa. Mi riprendeva su certe parole che non capiva. Guardava le immagini degli animali e si aspettava il loro nome in inglese. Ci siamo fatti un sacco di risate.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Scrivere un libro di cucina. Amo cucinare, nel primo lockdown è stata la mia salvezza! Ma non ho mai tutto il tempo che vorrei per farlo. Da anni ho in mente un libro che metta insieme e racconti le due storie, culture e tradizioni culinarie a me più vicine: da un lato le vecchie ricette della mia famiglia in Italia, un mix di Sardegna e Toscana; dall'altro quelle della mia famiglia americana di Cape Cod, nel Massachussets, un posto favoloso per la cucina di pesce. Un modo per documentare le tradizioni di due famiglie molto diverse, ma anche per non perdere le molte sfaccettature e le storie dietro molti piatti. Sarebbe anche una gran bella scusa per mangiare bene per un po'!

 

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La foto scelta da Andrea: il lancio ufficiale di Teach For Italy alla conferenza internazionale di Teach For All nel 2019.