Mirko Lalli

(Firenze, 1973) È il CEO di The Data Appeal Company SpA, azienda specializzata in analisi dati tramite Intelligenza Artificiale, partita inizialmente nel 2014 come Travel Appeal Company sul turismo. Da sempre Mirko si occupa di innovazione, tecnologia, comunicazione e marketing. È stato direttore della Comunicazione corporate di Clouditalia SpA, amministratore delegato di AR-tel SpA, e prima direttore Marketing e Comunicazione di Fondazione Sistema Toscana. Insegna in master e corsi di innovazione digitale e management per il turismo e cultura in diverse università italiane ed è stato il direttore scientifico di MATIS, il Master in Travel Innovation Strategy di H-Farm Education. Ha fatto parte del Comitato Innovazione Turismo del Ministero del Turismo e ha collaborato all'ideazione e alla realizzazione di BTO–Buy Tourism Online, facendo parte del Comitato tecnico scientifico di BTO Educational. Nel 2017 ha partecipato all'Executive Program della Singularity University nella Silicon Valley.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando?

Ci sto lavorando da quasi sette anni. Da quando, cioè, ho deciso di lasciare il posto fisso per lanciarmi in un progetto imprenditoriale che da quel momento ha generato un percorso che mi ha assorbito totalmente e ha quasi azzerato tutto il resto. Decidere di fare una startup è come mettersi su una barchetta a remi per attraversare l'oceano. La barchetta va sempre al massimo della velocità, nonostante sia piccola e sgangherata, ma hai pochissima acqua da bere e poco cibo! Lavorare però con persone eccezionali che crescono e con cui prendere forma insieme, pur tra errori, difficoltà e frustrazioni, dopo un po' ti ripaga di tutto. Ho sempre in mente quello che Ben Horowitz dice di questo percorso, di come alla fine ci sia una regola sola da seguire: "prendersi cura delle persone, dei prodotti, dei profitti – in questo ordine", una regola tutt'altro che banale e semplice da seguire. La mia società, The Data Appeal Company, ha la missione di semplificare e democratizzare, attraverso il ricorso all'intelligenza artificiale e alla tecnologia, l'uso e la comprensione dei dati online, permettendo a tutti di beneficiarne e sfruttarne le enormi potenzialità. Uno dei progetti più belli che stiamo seguendo da qualche mese è la costruzione di un indicatore, basato su machine learning, che abbiamo chiamato Fair Index e che va a misurare quanto le attività legate alla responsabilità sociale di un'azienda o di un'istituzione siano conosciute e apprezzate dalla sua clientela e dal suo pubblico in modo da avere anche una valutazione automatica e scalabile dell'impatto sociale generato.

 

Una cosa che il Covid-19 ti ha tolto, ed una che invece ti ha dato?

Risposta facile: mi ha tolto i viaggi. Nel 2019 avevo preso più di sessanta voli e un numero infinito di treni. Ritrovarsi da un momento all'altro con questa dimensione azzerata è stato abbastanza traumatico. Ho sempre viaggiato molto per lavoro. Le stazioni, gli aeroporti, gli hotel, gli airbnb erano i luoghi – o forse dovrei dire i non-luoghi – dove mi trovavo perfettamente a mio agio e dove passavo i due terzi del mio tempo. Sapevo esattamente come muovermi o dove andare dentro l'aeroporto di Amsterdam, Zurigo o Francoforte per fare una chiamata in tranquillità; conoscevo a occhi chiusi la strada per i terminal o per i vari negozi. Poi, di punto in bianco, a marzo lo scorso anno si è fermato tutto. Retrospettivamente, quella sosta forzata mi ha restituito il tempo e una dimensione locale e familiare che mi ha costretto anche a ripensare e rimettere in discussione alcuni aspetti della mia vita che con l'alibi del lavoro e della mancanza di tempo era stato fino a quel momento troppo facile tralasciare o ignorare. Ho capito che mi manca molto viaggiare, ma anche che non mi manca affatto viaggiare compulsivamente come prima. In questa situazione ho dovuto imparare a lavorare da casa restando, al tempo stesso, non solo in contatto ma connesso con il resto della squadra; ho imparato che gli incontri da remoto possono essere faticosi e appaganti proprio come quelli fisici e che sicuramente nella nuova normalità che verrà rimarranno tracce profonde di queste nuove abitudini.

 

Il pensiero laterale più ricorrente di queste settimane?

In questo periodo ho trovato il tempo di leggere tante cose, ma soprattutto di rileggere tre libri che consiglio sempre a tutti. Il primo è Antifragile di Nassim Nicholas Taleb, che insegna a non essere tacchini, perché «un tacchino che analizza "le prove" ignaro dell'esistenza del Giorno del Ringraziamento effettua "rigorose" proiezioni basandosi sugli eventi passati». Il secondo è Start with Why di Simon Sinek – ma dello stesso autore è molto bello anche Leaders eat last – che ricorda più volte che «non conta che cosa fate, ma perché lo fate». Il terzo è Cultura e sviluppo locale. Verso il Distretto culturale evoluto di Pier Luigi Sacco (e altri) che in maniera lucidissima definisce l'equilibrio alchemico di un luogo quando scrive che «la cultura produce sviluppo agendo sui comportamenti dei residenti del sistema locale e stimolandone l'apertura mentale, le capacità di apprendimento e quindi la propensione a produrre e recepire l'innovazione. Nell'attuale economia globale, è infatti la capacità innovativa la leva fondamentale di competitività per le economie più avanzate, e in tutte le economie nelle quali essa si manifesta in modo significativo, si riscontrano sempre valori altrettanto significativi di accesso alle opportunità culturali da parte dei residenti».

 

Una lezione imparata anni fa e che racconteresti ad una platea di studenti?

Ho fatto la mia prima startup, anche se allora non si chiamava così, a 28 anni. Non è stato un successo internazionale, ma neppure ci ho rimesso dei soldi, perché nel frattempo ho sempre lavorato in altri progetti o in varie aziende per non gravare sui conti di un'azienda fragile e appena nata. L'azienda è sopravvissuta alcuni anni e poi l'abbiamo venduta per pochi soldi ad una società più grande. La mia seconda startup è arrivata a quasi quarant'anni, dopo tanta esperienza, un'altra consapevolezza e un'altra maturità. Due storie diverse, in cui io per primo ero diverso e in cui le cose sono andate diversamente. E però in entrambi i casi la stessa postura: ho realizzato solo in seguito – ma alla fine l'ho realizzato – che non puoi ogni giorno avere un piano B. O perlomeno io non riesco a funzionare così. Ho bisogno di sentire l'urgenza e convincermi che c'è una dimensione romantica ed epica allo stesso tempo che spinge a portare avanti un progetto pazzo e disperatissimo a scapito di tutto il resto. Un'altra cosa che ho imparato è che non è vero il detto secondo cui "uno è poco e due sono troppi" quando si parla di soci e aziende: è infatti enormemente più difficile fare una startup senza un altro founder con il quale condividere scelte, gioie e dolori.

 

L'ultima volta che hai riso o sorriso?

Ieri, oggi forse. Veramente non faccio troppo caso a quando rido, mentre mi ricordo benissimo l'opposto: la tristezza, le arrabbiature. Ecco ribaltare questo atteggiamento, memorizzare i sorrisi e le risate e dimenticare il resto è un proposito di ecologia della mia personalità e della mia mente al quale sto lavorando da tempo. Questa sosta forzata dalla pandemia mi sta molto aiutando in questo percorso.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Molti anni fa scrivevo racconti e romanzi. Prima o poi mi deciderò a provare a scrivere qualcosa di nuovo.

La foto scelta da Mirko: a cosa servono i caffè (scattata presso l’incubatore Nana Bianca di Firenze)

La foto scelta da Mirko: a cosa servono i caffè (scattata presso l'incubatore Nana Bianca di Firenze)